Silenzio stampa per rifocillare l’anima

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Lo dovrebbe prescrivere il medico: semel in anno licet insanire, nel senso di “uscire da se stessi”. Scomparire, dileguarsi. Digital detox, nei tempi moderni.

È cominciata senza volerlo appena andata in ferie. Il cucciolo di uomo, per evitare di essere strangolato causa iperattività, in determinati momenti della giornata – coincidenti con il climax di intolleranza dei genitori – è stato “sedato” a forza di video su Youtube [molto poco educativo.. ma un giorno capirete]. Non avendo la wifi a corredo del mio prestante fisico, dopo già 3 giorni avevo finito i giga. TRAGEDIA.

E invece.

In modo naturale è iniziato il mio percorso di disintossicazione, aiutata anche da un cambio di operatore; col passare dei giorni è divenuta una scelta fino alla fine del periodo vacanziero. Zero internet, zero facebook, zero blog, zero outlook, poco whatsapp, poche chiamate.

Ho vissuto la mia parentesi di vita per un mese senza avere cognizione né interesse per quella degli altri. In una bolla di sapone anni ’90 zeppa di letture, gelati e corse in bicicletta [negli stabilimenti hanno passato persino gli Ace of Base, non ci volevo credere]. Mio figlio e Dr.♥ H24, giornate intere a disposizione che si susseguono noncuranti del calendario, l’impressione di essere sempre stata lì e che prima ci fosse solo il nulla.

Un’esperienza simile dai tratti molto molto più intensi l’avevo sperimentata negli Erasmus presi lungo la strada [ne parlerò prima o poi, credo di aver vissuto 7 esistenze come i gatti. E molte altre ancora mi attendo di vivere]. Rendersi irreperibile per periodi consistenti, senza snobismo: se non ci sei, per me è difficile spiegartelo e quindi ci vediamo al ritorno, tutto qui. Condividere con le persone che incontri, liberarsi del fastidio di mandare notizie, foto, mail e di mantenere per forza una qualche forma di connessione con l’ordinario.

D’altronde prima come facevamo? Assaporavamo. Ci annoiavamo. Fantasticavamo su cosa stesse facendo il resto della ciurma. Immaginavamo futuri migliori, strade da percorrere. Ci davamo il tempo di sedimentare, rielaborare e poi buttare fuori.

Ci davamo il TEMPO.

Staccare è spegnere il tuo mondo, tutto quanto – compresa la te di tutti i giorni – e incontrarti diversa in un luogo altro con persone nuove.

Un pezzetto piccolo di questa persona alla fine del viaggio tornerà nel vecchio amato mondo, che nel frattempo si sarà allargato un pochino, avrà conquistato metri cubi di libertà [alcune anime, in verità, non tornano affatto; una volta iniziato a girovagare non si fermano più, e sono quelle che amo e invidio. Mi ci attacco come una cozza quando le becco, ma sono rare; ah, se sono rare].

Eclissarti serve a vivere appieno, per una volta almeno, senza messaggini o telefonatine a interrompere la magia, senza che in un soffio “the moment has just passed you by” (cit. Matrimonio del mio miglior amico) [Somma riverenza per i dialoghi di alcune commedie romantiche, io e mia sorella ci abbiamo passato l’adolescenza a impararli a memoria, in inglese per giunta. E qui è giusto che cali il silenzio].

Staccare vuol dire riconnetterti alla vecchia te e irradiarla di luce nuova, ricaricarla di energia verde.

I buoni propositi a casa mia si tengono in serbo per settembre, si va con l’anno accademico.

APPUNTO.

Sono tornata. Mi sento un leone. Voglio farcela.

 

 

(Immagine presa da tedxvicenza.com)

Non c’è tempo da perdere per la felicità.

L’altro giorno avevo scritto un post minchionissimo.

Poi non l’ho pubblicato perché è accaduto quel brutto incidente in Puglia e mi è sembrato molto fuori luogo. Ero troppo triste. Pensavo a quella mamma che fa da scudo alla figlia, al papà che il giorno dopo avrebbe accompagnato orgoglioso la sua bimba all’altare, agli studenti universitari di rientro a casa, a quel povero capo stazione che diventerà il capro espiatorio di tutto.

Allora ho programmato l’articolo in modo che si auto-pubblicasse stamane, ma poi ieri sera c’è stata Nizza, quel folle attacco mentre tutti festeggiavano, in vacanza, tra palloncini, luci sul mare e musica di sottofondo. Ancora, l’ho sentito fuori luogo e posticipato a data da destinarsi. Ho guardato le immagini di quei corpi coperti, della bambola a brandelli sul ciglio della strada, dei festoni a terra e le lacrime dei sopravvissuti. Sono troppo sgomenta. In verità ho anche un po’ paura, non solo per me o i miei cari. Per questo mondo che non comprendo.

Sento il silenzio che mi rimbomba dentro, come quando sei in piscina sott’acqua. E’ talmente assordante da sembrare surreale. Penso:

se succedesse a me di morire oggi?

Ogni storia è perfettibile, certo, ma mi domando se almeno la mia stia andando nella direzione giusta. Perché la direzione è fondamentale, il destino può essere orientato. Sto facendo tutto quello che è in mio potere per raggiungere l’armonia?

La MIA armonia, la mia felicità personale. Non quella che la società si aspetta da me.

come-vivere-felici-senza-lavoro

Sto dando un senso a questi giorni, mesi, anni che scivolano via?

In realtà non lo so, ma questo blog mi sta aiutando. A interrogarmi, a conoscere altre storie, punti di vista, quesiti pregni di senso, risposte inaspettate. E se allora scrivere mi serve per capire o anche solo per stare meglio, è già un primo passo.

Perché non c’è tempo da perdere.

Anche questo ci hanno insegnato i fatti di questi giorni.

N.B. Nel frattempo c’è stato anche il Golpe in Turchia. Le mie parole non hanno suono, dissolte chissà dove.

 

 

 

Quei 20minuti che non cambierei per nulla al mondo

Un cucciolo di uomo che si stropiccia gli occhi e vuole essere il centro delle mie coccole.

Inizia la sua personale battaglia contro il sonno, sul lettone. Si gira, mi abbraccia, apre le fauci e ci infila dentro il mio naso, ridiamo. Si può essere complici di un bambino di un anno e mezzo?  Sì, si può.

Sbatte i piedi, si dimena, mi morde il mento e sorride con gli occhi. Mi tira i capelli, si butta sulla mia pancia. Sul viso già due fessure.

Guancia a guancia, morbidezza che neanche la pubblicità della carta igienica.

Ma-m-ma.

Piccole dita che si accarezzano i capelli e cercano a tentoni il viso familiare.

Morfeo è arrivato, su quel cuscino due labbra che sporgono, un pugnetto semichiuso e un corpicino che sale, e poi scende. Sale, e poi scende.

Chissà che la pace interiore per me non sia uno status duraturo, ma singoli momenti quando il buio avvolge la città e il tempo sembra scorrere più lento. Quando la fatica, la noia e l’adrenalina sono spazzate via; a cullare me stanchezza e un universo di tenerezza.

Io, questi brevi attimi di felicità, non li baratterei per nulla al mondo.

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(Foto presa da blog.bimbonaturale.org). Non è mio figlio, ma rende bene l’idea.

 

 

 

 

Il tuo interlocutore ti ha stufato? Puf, ciaone.

Consegna della valutazione annuale; ostenti scarso interesse, ma dentro di te hai una squadra di tamburi battenti in azione. Il 2015 è l’anno della maternità, in cui ti sei fatta un culo a capanna per fingere che con un figlio puoi essere senza problemi egualmente produttiva.

E invece ad attenderti a questo evento c’è lei, la sagra delle BANALITA’. Una serie di frasi fatte messe insieme senza alcun senso e vestite da “l’azienda crede molto nei propri dipendenti” eblabla, ma con la variante cetriolo che aleggia nell’aria. Perché su di te non hanno scommesso neanche 10 centesimi, è chiaro come l’acqua cristallina del Caribe.

Ecco, è in quel momento in cui sei seduta davanti al tuo interlocutore – immobile, con lo sguardo fisso e l’espressione facciale paralizzata per non far trasparire disappunto/ noia/ MaVeramenteDevoAscoltareSteMinchiate -, che vorresti sparire. Eclissarti. PUF, evaporare.

Se avessi in questo momento la lampada di Aladino, uno dei tre desideri sarebbe IL DONO DELL’INVISIBILITA’ TEMPORANEA. Una cosa fantasmagorica! L’antidoto al tedio e all’ipocrisia. Semplice, efficace, indolore.

Da utilizzare quando ti intrattieni con il più grande raccomandato della storia che ha deciso di fare la sua battaglia per la meritocrazia, o quando la profumiera più profumiera che conosci ti attacca il pippone sul come mai tutti gli uomini si innamorino di lei, costringendola suo malgrado a ferirli. Ma potrebbe essere usato all’occorrenza anche nelle occasioni più disparate.. che so, se qualcuno a tradimento tira fuori il filmino del matrimonio che dura solo 2h36m, o se capiti in quella tavolata di amici di lungo corso che partono con  racconti interminabili della loro avventurone da liceali (uniche, peraltro – perché, mannacc a loro, quante ne hanno combinate). Per le lamentele della nonna, mi dispiace no, non vale; quelle vanno sempre accettate con affetto, ché le nonne non sta bene lasciarle sole a parlare con il muro.

La conseguenza non sarebbe solamente una riconciliazione con il proprio Karma, ma il  riappropriarsi del TEMPO perduto, e il recupero dello stesso per eventi fondamentali quali estetista, parrucchiere, birra con gli amici.

A questo proposito avrei pertanto una preghiera.

Caro Creatore, quando farai la bella copia di questo incasinato mondo.. potresti per favore inserire il dono dell’invisibilità tra gli accessori di noi umani? Non ti sto chiedendo il full optional chiavi in mano, ma un aiutino. In questo modo:

  1. ci potremmo risparmiare di sentire un sacco di minchiate.
  2. sarebbe un’occasione per chi le spara di fare autocritica. (Del tipo «Ma come mai questo qui è sparito? Che cafone, ma come si è permesso!» «Oibò anche quest’altro s’è dato, tutti maleducati oggi»… «Cosa c’è che non va che tutti si danno??»)
  3. la pace nel mondo sarebbe un obiettivo reale.