Lo sbrocco a rischio infarto

Quando cresci impari a trattenere l’impulsività. E se tendenzialmente questa è una buona notizia, a volte non è giusto. Non per l’accadimento in sé, ma per l’armonia complessiva della relazione con l’altro.

Decidere di interporre tra uno sgarbo e la sua reazione un certo intervallo di tempo fa sì che molto spesso si passi dal

“non voglio agire sull’onda dello scazzo, ci penso un po’ così doso meglio le parole”

al

“che senso ha agire, oramai lascio correre proprio”.

Così, senza saperlo né volerlo, si prende un pezzetto di rancore e lo si mette in tasca, chiudendo anche la zip. Non si vede,  ma è pronto a sbucar fuori al primo cambio di stagione.

Dal canto suo costui non ha percepito di aver urtato la nostra sensibilità o – peggio- ha realizzato che può permetterselo e ne approfitta. La reiterazione è in ambo i casi inevitabile. Infatti accade di nuovo; e poi di nuovo ancora. Nessuna ribellione, però, si profila all’orizzonte perché ogni volta ci si innervosisce con maggiore intensità e – per evitare risposte ancor più scomposte – si medita approfonditamente sulla reazione, finendo per rimanere pietrificati. Una spirale bella e buona.

Nel frattempo odi te stesso perché proietti all’esterno una figura che non riconosci. Dove sono io in questa situazione? Perché continuo a regalare questa immagine scialba e dimessa che non mi appartiene? Come si riaccende la dignità? [Perché sei così stronzo? Tra l’altro]

Poi un giorno qualunque, senza una giustificazione reale, la rabbia monta davanti una quisquilia. Un tuono fragorosissimo di tanti piccolissimi pezzetti di livore.  Chiamasi sbrocco irrefrenabile, minimamente proporzionato all’offesa. Muti in metà uomo metà mostro:

  • la bocca si trasforma in fauci che accolgono una lingua affilata di lama acciaio inox;
  • le vene del collo si gonfiano neanche fossero palloncini a una festa di bambini;
  • le gesta assumono una connotazione aggressiva di bestia in cattività;
  • l’anima, ormai violacea, si dichiara pronta a ospitare una cattiveria degna di Lady Macbeth.

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E i vicini che dopo la tragedia riportano: «Sembrava una tipa tranquilla, salutava sempre».

Post uragano un millesimo di secondo è sufficiente per il pentimento. Dov’è il tasto CANC? Giuro non ero io neanche stavolta, fatemi un esorcismo perché qualcosa di non meglio identificato s’è appena impossessato di me.

Rientro pian piano nella mia camicettina a pois e la coda di cavallo, sono sudata. Davanti il monitor, la stessa pagina di mezz’ora prima; un silenzio irreale. In stanza si lavora.

L’ho immaginato.

L’ho solo immaginato.

Per fortuna.

L’importanza di esternare al momento giusto, me lo devo incidere sul braccio. Forse è questo che intendono con il Parla ora o taci per sempre.

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